Articolo di Dionisio Vianello su Quotidiano Immobiliare:
Il piano è morto, avanti un altro
Il piano regolatore è morto: così afferma Rosario Manzo in un recente editoriale, confortato peraltro da un autorevole parere di Paolo Stella Richter. Sembra che pochi, neppure gli urbanisti che lo avevano eletto a loro mito e vessillo, si strappino le vesti a questa luttuosa notizia.In realtà non possiamo dire che sia morto il piano. Certamente è scomparso un certo tipo di piano, pensato moltissimi anni fa per un altro modello di economia e società, e conseguentemente di uso del territorio. La grande crisi ha cambiato radicalmente i connotati del processo. Non sappiamo ancora esattamente quale sarà l’assetto futuro, ma possiamo affermare con certezza che sarà completamente diverso dal precedente. Se il vecchio piano non serve più – ma probabilmente non serviva a tanto neanche prima visto che si è dimostrato del tutto inadeguato a controllare i processi di sviluppo – con cosa lo sostituiremo? Ma serve ancora un piano? Oppure è meglio passare ad una logica diversa ed alternativa spostando il baricentro del sistema dal piano ai progetti, ad esempio quelli per la rigenerazione urbana? Questa sembra la linea prevalente, sposata anche da Rosario Manzo.Premettendo che non posseggo nessuna ricetta risolutiva, vediamo di chiarire meglio i termini del problema. I caposaldi del nuovo corso – su questi non c’è dubbio – sono sostanzialmente i seguenti: consumo di suolo, rinnovo edilizio, rigenerazione urbana, il sociale, ambiente e sicurezza (clima, energia, difesa del suolo, antisismica, ecc.). Finalità che per essere perseguite e realizzate hanno bisogno di politiche e strumenti diversi, che solo in parte possono ritrovarsi nel vetusto cassetto degli attrezzi a disposizione dei pianificatori. Infatti. Per ridurre il consumo di suolo a livello urbanistico possono bastare dei vincoli; tanto a raggiungere lo scopo ci pensa l’IMU. Vedi la Germania. Per la città esistente va bene uno strumento già consolidato come il RUE (Regolamento Urbanistico Edilizio) purchè unificato a livello nazionale (schema) e regionale (contenuti).Per la rigenerazione urbana – il capitolo più complesso – servono alcuni progetti strategici per la città da eseguire in partnership pubblico-privato e una semplice normativa per tutti gli altri. Importante la flessibilità: liberalizziamo le destinazioni d’uso elencando solo quelle vietate.Fondamentale il versante del sociale – gli standard dei tempi andati – dove bisogna dare risposta a domande sempre più indifferibili ed urgenti: servono progetti (generalmente non di tipo urbanistico) ma soprattutto programmi d’intervento.Anche per i temi ambientali e della sicurezza occorrono programmi d’intervento specifici alle varie scale, con qualche ricaduta di livello urbanistico.Se questi sono i codici serve ancora un piano in grado di coordinare i settori d’intervento? Forse un “non piano” per dirla in gergo grillino? Oppure è sufficiente un documento programmatico – sulla scorta di quello lombardo – che funzioni da quadro di riferimento (o semplice assemblaggio) delle diverse politiche? Sia pure con riluttanza, questa sembra l’ipotesi più percorribile.Tra i requisiti del nuovo piano non ci sarà più l’onnicomprensività che annullava tutte le differenze quanto invece la fattibilità, tema che comprende la ricerca delle risorse finanziarie necessarie per l’attuazione dei progetti, ma anche la selezione e la competitività tra i soggetti attuatori. Questo appunto il tema trattato nel seminario Nazca del giugno scorso al Politecnico di Milano.Il discorso non sarebbe completo se non venisse indicato anche un percorso ed un metodo. Quelle che ho cercato di esporre sono solo ipotesi, anche se personalmente sono convinto della loro validità. Sarebbe però del tutto prematuro predisporre già adesso un progetto di legge per codificare un nuovo sistema di pianificazione: si rischierebbe di ingessare una materia ancora allo stato magmatico producendo solo degli sgorbi. Invece è proprio quello che stanno facendo molte regioni con la revisione delle vecchie leggi urbanistiche regionali. Ad esempio quello che è considerato il portabandiera del nuovo corso, il PDL della Regione Emilia: ben … pagine con 75 articoli, inarrivabile capolavoro di burocrazia. Anche se pure si ritrova qualche proposta migliorativa, come quella di abbandonare il vecchio sistema dei due livelli di piano comunale (quello strutturale e quello operativo) che ha creato tante inutili complicazioni alle amministrazioni ed agli operatori, la tentazione di regolamentare ogni attimo di attività delle amministrazioni – che pure in Emilia sono le migliori d’Italia – appare francamente ossessiva.Meglio invece seguire la linea Nazca. Soprattutto nel campo della rigenerazione occorre dare spazio ai comuni ed alle amministrazioni più preparate, sperimentare nuove strade, valutare percorsi anche diversi, verificare tempi e risultati. L’esperienza del Piano Periferie sta dando ottimi frutti. Il recente convegno RICREA di Ferrara con la esposizione dei progetti di Ferrara (ex Distilleria Turchi) e Brescia (comparto Milano) ha evidenziato approcci innovativi di pianificazione e gestione condivisi tra pubblico e privato. Le grandi (Milano, Torino) e medie città del Nord (Bergamo, Vicenza, Modena, Prato ed altre ancora) pur utilizzando le vecchie leggi stanno imboccando nuove strade che appaiono quanto mai promettenti. Questa è la strada da seguire.
Dionisio Vianello
Bassano, 23/11/2017