Paolo La Greca: "Sicurezza sismica ed equità sociale per il futuro delle città siciliane"

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Gli anniversari degli eventi che hanno segnato profondamente la storia dei popoli hanno il valore di aiutarci a delineare un futuro possibile, ripensando al passato che contribuisce a costruirlo. L’anno che finisce, ad esempio, ricordato per il centenario della presa del Palazzo d’inverno a Pietrogrado e il cinquecentenario dell’affissione delle tesi di Lutero a Wittenberg, è stato l’occasione per riflettere sul parallelismo divergente fra “rivoluzione” e “riforma” e sugli esiti che queste due forme di cambiamento radicale hanno sul mondo. La nozione di “cambiamento”, che da esse deriva, ha come corollario l’evoluzione e la trasformazione della società. Si è trattato di cambiamenti che, pur avendo segnato in profondità le società moderne, tanto da mutarne dalle fondamenta alcuni aspetti, ne hanno lasciato, tuttavia, inalterati altri altrettanto basilari. Anche quello, profondo, del ’68 è parte di questi. Quei “Times They Are A-Changing” che Dylan ci ha restituito catturando il clima ideale e culturale di quel periodo turbolento, le speranze suscitate dai discorsi sulla felicità di Bob Kennedy, l’indimenticabile “I have a dream” di M. L. King e lo straordinario maggio francese hanno rappresentato una cesura nella storia contemporanea anche se hanno lasciato immutati tanti aspetti. Nel 2018 ricorrerà questo cinquantenario, ma anche quello del devastante terremoto del Belice che oltre al dolore per i gravissimi lutti, rese manifesta l’incapacità nel programmare una ricostruzione sostenibile per un diverso presente. Per le scienze urbane è, inoltre, la ricorrenza del decreto sugli “standard urbanistici”, salutato come il cambiamento epocale che garantiva, per la prima volta, ad ogni cittadino il diritto a 18 mq di spazio pubblico.
Per tesaurizzare il lascito di questi cambiamenti della storia recente, serve ricordare che essi appartengono a un mondo che è del tutto diverso dal tempo che ci è dato da vivere.
Le condizioni sono cambiate. Queste ricorrenze, dell’anno che verrà, intervengono in un tempo nuovo caratterizzato da una “metamorfosi del mondo”, delineata da Ulrich Beck, che implica una trasformazione molto più radicale “in cui le vecchie certezze della società moderna vengono meno e nasce qualcosa di totalmente nuovo”. Questa metamorfosi può essere disegnata su una tela, in parte già dipinta dalle generazioni precedenti. Bisogna saper cogliere le innovazioni, quelle più durature, lasciarle crescere, dare loro spazio. Le grandi questioni urbane del presente sono: la crescente divergenza fra ricchezza e povertà, l’accessibilità (fisica e immateriale) ai beni e ai servizi, la coesistenza con i rischi urbani e territoriali.
Il diritto alla città pubblica, contenuto nel decreto sugli Standard, era la promessa di una qualità di vita urbana, alternativa alle logiche di accumulazione del capitale. Esso, tuttavia, era pensato per una città addizionata per parti ed era rivolto a comunità di cittadini ben identificabili di cui era più immediato cogliere i bisogni conseguenti al fenomeno di un rapido inurbamento: il verde, i centri sociali, le scuole, i luoghi di culto. La forbice fra i proletari, gli impiegati e “i padroni” non aveva raggiunto le incommensurabili differenze attuali (a New York l’1% più ricco degli abitanti guadagna, in un solo giorno, quanto il 44% più povero percepisce in un anno). Siamo diventati una specie urbana. Nel 1968 c’erano solo due megalopoli che superavano i 10 milioni, adesso sono quasi trenta di cui gran parte nei paesi in via di sviluppo. La prospettiva è un mondo urbanizzato in cui gli spazi d’azione, i luoghi urbani, trascendono in termini cosmopolitici. Le grandi migrazioni, sempre più rilevanti e ineludibili come esito dei cambiamenti climatici che segnano il Pianeta, generano la metamorfosi della compagine sociale delle nostre città. Agli originari abitanti, prima i soli fruitori dei servizi urbani, si sono affiancati al tempo della globalizzazione i city users che richiedevano nuovi servizi di qualità. Oggi, nella post-metropoli, la scena urbana è occupata da migranti “interlocali”: uomini e donne che contaminano positivamente le diverse civiltà arricchendole di esternalità positive.
Guardatevi intorno. I nuovi migranti che ci circondano domandano “città”, ne hanno diritto, sono consapevoli degli spazi fisici con cui si relazionano ancor più degli originari abitanti. È un diritto affatto diverso da quello della proprietà ma proprio dell’era dell’accesso: un’attività partecipe che contribuisce alla costruzione del futuro di tutti.
Nella metamorfosi che è in atto anche la questione della sicurezza, date la condizione di tante parti del nostro Paese, e della Sicilia in particolare, ci obbliga a riguardare la minaccia sismica come un’occasione per disegnare un futuro possibile. La memoria dei terremoti gioca un ruolo catartico poiché negli errori del passato sono racchiusi i rischi, conseguenza degli usi dissennati dei nostri territori. Seguendo Beck, anche il rischio sismico è una sorta di “catastrofismo emancipativo” che permette di correggere gli errori di un’intera epoca vissuta con modalità di azione approssimate, emergenziali, orientate al post-evento piuttosto che alla prevenzione. Con la metamorfosi in atto, l’accento si sposta sulla modifica dei caratteri generativi della città per ridargli nuova vita. In primo luogo ai centri storici, nel tentativo di dare un futuro al passato; alle periferie degli anni dell’inurbamento massiccio. Dobbiamo pensare, e quindi pianificare nella prospettiva della rigenerazione energetica e sismica la sola via per la sostenibilità urbana e lo sviluppo durevole
Consentitemi un’ultima, triste, considerazione che deriva dall’avere più cicatrici che pelle per la lunga militanza in questa nostra Sicilia. Il 2018 sarà anche il quarantennale della legge fondamentale urbanistica siciliana. Per quanto ancora, dunque, a Palazzo dei Normanni, abuserete della pazienza di città e paesi che attendono una riforma indifferibile?
Paolo La Greca
Presidente Istituto Nazionale di Urbanistica Sicilia

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