Vianello su QI: “La fine ingloriosa dell’analisi costi benefici”

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Da il Quotidiano Immobiliare, sabato 16 febbraio 2019, Dionisio Vianello

Il caso della TAV Torino-Lione ha contribuito ad affossare definitivamente la fama (immeritata) dell’analisi costi benefici (ACB). Ultimamente non è che se la passasse granchè bene, un altro duro colpo glielo aveva inferto circa un anno fa il caso dello stadio della Roma. Finisce così nel cimitero degli elefanti una pratica un tempo osannata, ritenuta risolutoria di tutte le controversie ma tradita dall’ambizione di sostituirsi alle decisioni politiche. Il tutto senza lacrime e rimpianti, se non forse da parte dei docenti di estimo che trattandosi di un lavoro di loro competenza ne erano i più affezionati propugnatori.

Due erano i casi principali ai quali più frequentemente si applicava l’ACB. Il primo, quello prevalentemente utilizzato nella pratica professionale, riguardava i progetti di trasformazione urbana, essenzialmente secondo due versioni. La prima interessava l’operatore, fosse pubblico o privato, e consisteva nel verificare se il progetto era fattibile; in sostanza se il bilancio costi-ricavi era positivo e quindi se l’intervento stava in piedi e si poteva fare senza rischiare un rovescio finanziario. La seconda riguardava soprattutto il pubblico, l’amministratore comunale, che aveva il compito di valutare quanti oneri si potevano mettere a carico del promotore senza compromettere l’operazione; in sostanza quale poteva essere il bilancio sociale del progetto in termini di servizi pubblici, social housing, ed altro.

In genere il privato si faceva in casa – ora si direbbe in house – una sintetica ACB; anzi spesso era il palazzinaro che sulle dita callose faceva i conti dei costi e ricavi; e raramente sbagliava. Se andava bene, decideva di partire. Così venivano assoldati i migliori esperti sulla piazza e la famosa analisi prendeva forma e veniva presentata all’amministrazione; un malloppo di fogli excel che non finiva più, ma con firme altisonanti. In genere risultava che i costi pareggiavano i ricavi e c’era poco spazio per il sociale; l’operatore era comunque disponibile ad intervenire, anzi figurava quasi come un benefattore della comunità. L’amministrazione da parte sua era già prevenuta contro gli operatori che considerava in genere degli imbroglioni patentati, e quando leggeva l’ACB si confermava nella sua tesi. L’assessore convocava i tecnici comunali – non i cattedratici che costavano troppo – ma i vecchi ingegneri dell’ufficio tecnico, questi cominciavano a fare le pulci alla proposta contestando le cifre esposte, soprattutto prezzi e tempi di vendita. Temporaneamente la trattativa si bloccava, ma alla fine siccome tutti ci tenevano, il privato per interesse ed il pubblico per calcolo politico, le carte dell’ACB venivano messe in un cantuccio e cominciava una lunga discussione sul quantum il privato avrebbe dovuto dare all’amministrazione; in maniera non molto dissimile dal mercato delle vacche di una volta. Alla fine comunque si raggiungeva l’accordo perché tutti avevano una certa esperienza del mercato e sapevano fino a che punto si poteva tirare la corda; dopo di che l’ACB veniva riaggiustata e faceva bella mostra di sé alla fine del fascicolo. Una descrizione troppo caricata, direte voi? certamente, ma neanche troppo lontana dalla realtà.

Il problema nasceva dal fatto che mentre i costi erano largamente prevedibili in quanto desumibili da dati numerosissimi e certi, i ricavi dipendevano da una serie di fattori difficilmente prevedibili e soprattutto variabili nel tempo; per cui la stima scontava troppe incertezze soprattutto nel caso di progetti la cui durata si protraeva nel tempo, una decina di anni, adesso anche il doppio.

Un caso recente ma più eclatante riguarda lo stadio della Roma, dove tutte le discrasie segnalate sono state enfatizzate e portate all’eccesso. A proposito del quale si vuole anche indicare una via d’uscita per eventi futuri. In casi del genere, pur lasciando al privato la facoltà di presentare proposte è chiaro che la scelta è compito dell’amministrazione, e deve assolutamente comprendere anche la valutazione di ipotesi alternative. Fondamentale poi che alla fine il progetto approvato venga messo in gara aperta a tutti, sia pure con il diritto di prelazione da parte del proprietario dell’area.

Se questo era vero per i progetti di natura edilizia a maggior ragione lo diventa per l’altro settore privilegiato di applicazione, i progetti delle grandi infrastrutture, strade e autostrade, ferrovie ed altro. Soprattutto quando si prevede la partnership pubblico-privata per cui il pagamento dell’opera avviene attraverso la riscossione dei pedaggi. Progetti dove a complicare ulteriormente le cose oltre ai fattori di origine economica e sociale intervengono in modo determinante quelli di natura ambientale; meno noti ed indagati dato il più recente interesse per la materia ma di gran lunga più labili ed in parte anche più contestabili perché non unanimemente condivisi. Per di più si tratta di opere mastodontiche, di dimensioni e costi infinitamente superiori a quelli dei progetti urbanistico-edilizi, che si sviluppano in archi temporali non di anni ma di decenni; aumentando all’infinito la complessità e la labilità della materia.

Molti ricorderanno le previsioni di sviluppo del traffico che sostenevano i progetti di nuove autostrade tutte ipotizzavano incrementi stratosferici e continuati nel tempo. Alcune sfortunatamente sono state realizzate, e sono desolatamente vuote. Alla fine l’amara conclusione sarà il passaggio delle opere, ma soprattutto degli oneri, dal gestore privato allo stato o agli altri enti pubblici.

A distruggere definitivamente l’ACB hanno certamente contribuito in maniera determinante i contrasti politici che si sono scatenati all’interno del governo e tra questo e le opposizioni. Un vero e proprio gioco al massacro dal quale nessuno si è salvato. Ed i tecnici come sempre hanno fatto la figura dei classici vasi di coccio ridotti in frantumi di fronte ai politici che, pur con una smisurata coda di paglia, rivendicavano il loro diritto alla scelta. Ed effettivamente non c’è discussione, così va fatto, la confusione di ruoli è sempre sbagliata e porta a risultati ancora più catastrofici.

Come tecnico però mi interessa di più il problema dal quale siamo partiti. L’esigenza di disporre di idonei meccanismi di valutazione rimane prioritaria. Accertata l’insufficienza e l’inaffidabilità queste procedure possono essere recuperate e migliorate riducendo i margini di errore? Ci sono altri procedimenti in grado di fornire risposte più attendibili? E’ possibile organizzare un rapporto più serio e costruttivo tra l’empireo dei tecnici e l’inferno dei politici? Su questo argomento è aperta la discussione.

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