Scenari per le città al tempo del Covid-19 – Documento del CeNSU

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La difficile contingenza che attraversa il Paese e il mondo intero, sollecita la nostra capacità di riflessione nel comprendere il difficile presente, ciascuno nei propri settori, per contribuire a delineare futuri possibili per la fase di ripresa di ogni attività ma, ancor prima, della nostra stessa vita associata e di relazione.
L’emergenza attuale non deve spingerci né verso paure irrazionali né a sottostimare la portata del fenomeno. Essa è, viceversa, il momento in cui bisogna iniziare a coltivare il cambiamento e riflettere sulle strade passate da non percorrere più.
Riflettere sul mutamento che si delinea per la città e i territori significa riflettere su proposte già da tempo avviate, per un’urbanistica a un tempo rigorosa e creativa, valutandone l’attualità e l’utilità alle condizioni oggi date poiché è indubbia la necessità di proseguire lungo la strada tracciata: uno sviluppo sostenibile nella triplice accezione sociale, economico e ambientale come unica risposta certa da dare per la nostra sopravvivenza sul pianeta.

Densità vs diffusione urbana nel contagio del Covid-19. È un vero problema?
I modi per contenere il contagio, a partire da quello più immediato del distanziamento sociale, sembrano riaprire la contrapposizione fra modalità insediative orientate alla densificazione – con la conseguente, apparente, messa in crisi dei modelli a elevata densità delle grandi concentrazione urbane – e quelle improntate alla diffusione urbana, o la concentrazione in aree agricole degli insediamenti, come alternativa alla città inquinata con i conseguenti effetti negativi che questi implicano in termini di accessibilità, servizi e altre conseguenti diseconomie
Questo implica una valutazione che, in verità è ancora sospesa e dovrà essere condotta con rigore, perché all’origine della diffusione della pandemia sembra esservi stato un sistema di relazioni peri-urbane e rurali-urbane piuttosto che metropolitane.
La valutazione di una giusta soglia per la densificazione urbana mirata al miglioramento dell’accessibilità ai servizi e della conseguente efficienza dei trasporti, alla riduzione del consumo di suolo è, comunque, un tema di grande attualità e di sicuro interesse urbanistico.
In uno scenario post-COVID, appare ancora più necessario mettere a punto strumenti di valutazione delle scelte urbanistiche che permettano di confrontare diversi scenari, attraverso cui valutare le scelte di densificazione per gli effetti sulla mobilità, sull’offerta di servizi e sulla salute urbana. Il contenimento del consumo di suolo continua ad essere un obiettivo centrale del piano urbanistico, ma la valutazione della densificazione deve essere ricondotta ad un bilancio in cui considerare anche gli scenari di desigillazione, con l’introduzione di aree verdi e spazi aperti che possano dare respiro al costruito e consentire un maggiore “distanziamento sociale”.
Appare necessario ridefinire i parametri di riferimento per densità, distanza, altezza delle costruzioni mirate alla salubrità dei luoghi di lavoro, dell’abitare ma anche delle pratiche per lo svago, lo sport, la crescita culturale. Le strategie per la rigenerazione urbana impongono, ora più che mai, il superamento della predeterminazione in sede di piano delle destinazioni d’uso e dello zoning territoriale.
Cambiamenti di questa natura devono avvenire, comunque, nella prospettiva di fronteggiare la sfida mai sopita dei cambiamenti climatici nella cornice, prima richiamata della sostenibilità urbana e territoriale. Riguardare al modello della città diffusa, contrapposto a quello della densità urbana, ha come corollario l’aumento dell’efficienza del trasporto pubblico di massa.

Un nuovo ruolo per le aree interne
A lungo ci siamo interrogati sul futuro delle aree interne e sulla necessità di dare un nuovo ruolo e un nuovo significato a queste aree spesso in via di depopolamento, caratterizzate da una popolazione anziana, scarsi servizi e accessibilità limitata. In uno scenario post pandemia, si deve ripensare anche il ruolo di queste zone del paese che da aree problema si possono trasformare in opportunità, per offrire alternative alla densificazione urbana delle principali città, senza consumare nuovo suolo. Nelle aree interne troviamo un vasto patrimonio immobiliare inutilizzato o sottoutilizzato che si presta anch’esso ad essere rigenerato. La valorizzazione dei borghi e delle aree interne deve però necessariamente poggiarsi su una diffusa infrastrutturazione fondata sull’ICT, per consentire modalità di lavoro smart e quindi la riduzione degli spostamenti casa-lavoro, oltre al potenziamento dell’offerta di mezzi collettivi di trasporto, come trasporto a chiamata e car sharing.

Nuove forme della mobilità
Il momento contingente non può farci dimenticare la sfida retta dal trasporto pubblico di massa per creare delle città migliori collegando la gente e i luoghi attraverso l’integrazione dell’uso del suolo con la pianificazione dei trasporti. Un pericolo da frenare è il rischio reale del ritorno massiccio all’auto privata: nociva per la salute urbana e fra le maggiori fonti d’inquinamento ed emissione di CO2. Utili sono alcune proposte (cfr., fra gli altri: Legambiente) che vanno dai sistemi di trasporto agli incentivi esistenti per una mobilità sostenibile a partire da un giusto richiamo alla possibilità di predisporre i “piani dei tempi e degli orari” delle città: strumenti fondamentali per pianificare riducendo le congestioni. Azioni da condurre nell’immediato vanno dalla garanzia della sicurezza e l’adeguata gestione dei servizi di trasporto pubblico, al potenziamento dei sistemi ciclabili urbani anche attraverso soluzioni temporanee lungo gli assi e le tratte più frequentate, da fare evolvere in vere ciclabili. Peraltro le risorse per realizzare ciclabili sono contenute nella Legge di Bilancio 2020, con 150 milioni di Euro per il co-finanziamento di percorsi ciclabili urbani, seppur manca il Decreto di attuazione per l’erogazione. Va esaltato il ruolo della ‘sharing mobility’ come alternativa all’auto privata, per chi non vorrà utilizzare i mezzi pubblici, con mezzi elettrici; così come deve essere proseguita la politica di rottamazione dell’auto per scegliere la mobilità sostenibile utilizzando i fondi del Ministero dell’Ambiente per il “Programma Buoni di mobilità” previsti dal decreto Clima approvato del dicembre 2019.
Favorire lo smart working oltre che utile via per riorganizzare il lavoro dell’amministrazione pubblica può essere un’occasione per incentivare le attività che scelgono questa strada con vantaggi fiscali estesi anche ai lavoratori che decideranno di puntare su soluzioni innovative.

Il ruolo dei big data per fronteggiare le emergenze sanitarie del nostro tempo.
È necessario re-immaginare la gestione delle nostre città a partire da un utilizzo sempre più diffuso dei ‘big data’ per andare avanti e fronteggiare questa o nuove emergenze.
L’ingegneria moderna e la pianificazione urbanistica sono l’esito, cadenzato nel tempo, della cultura illuminista matura dell’inizio dell’ottocento. L’ingegneria urbana, le nuove scoperte sui sistemi idraulici, i modi innovativi di trasporto hanno guidato le scelte e hanno informato le decisioni in società sempre più aperte e democratiche e sono stati i pilastri sui quali si è evoluta la nostra civiltà urbana. Le infrastrutture digitali si confermano, oggi, come gli indispensabili presidi sanitari per la futura sicurezza delle nostre città. Il dato nuovo che affiora da questa emergenza, rispetto altre che l’hanno preceduta, è quello della risposta digitale in termini di fiducia e ricorso massivo all’ICT. Si profila la possibilità, già in parte avviata, che i grandi provider possano, in tempo reale, monitorare chi ha contratto il virus, le possibili relazioni che hanno gli abitanti di un dato quartiere, gli spostamenti effettuati nelle città per consentire ai decisori di assumere scelte consapevoli fondate sull’infrastruttura digitale. Si deve incentivare l’ibridazione di attività che operano in settori diversi per favorire nuove filiere e startup che operino con l’orizzonte del bene comune e politiche pubbliche volte a ricercare nuovi paradigmi di soluzioni digitali.

Nuove forme dell’abitare
L’irruzione della telematica, dello smart working (passato da 400.000 a 8 milioni di utenti), dato positivo di questa pandemia, ci obbliga a ripensare sia i metodi che i processi per il progetto dello spazio destinato alle attività ed alle relazioni umane. È uno sforzo intellettuale, tecnico e scientifico di vaste proporzioni poiché implica ripensamenti radicali di pratiche consolidate. Si profilano nuove funzioni per le abitazioni (lavoro, studio a distanza, pratica sportiva, svago…) che richiedono un investimento in sostenibilità per nuove forme di piani per l’edilizia residenziale. È necessaria la rigenerazione (anche attraverso la demolizione e ricostruzione) del patrimonio residenziale obsoleto, sia pubblico che privato, per renderlo sostenibile sia sotto il profilo delle prestazioni di sicurezza che di efficienza energetica ma anche sul piano degli scambi sociali nella difficile prospettiva, per certi versi antitetica, di rispondere alle esigenze di distanziamento e allo stesso tempo di vicinanza e integrazione.

Riuso e ripensamento degli spazi della produzione e dei servizi
La conversione smart di parte delle attività consentirà di liberare spazi oggi occupati da attività e servizi, che potranno essere riutilizzate per nuove funzioni attraverso riconversioni verso l’uso abitativo o sociale, favorendo la rigenerazione urbana di vaste porzioni del tessuto costruito.

Nuovi spazi per la socialità
È necessario ripensare non solo le modalità di fruizione e quindi di progettazione degli spazi pubblici ma anche di quelli tradizionalmente deputati al filtro tra le attività e gli usi privati e quelli pubblici.

Centralismo vs decentramento amministrativo
L’emergenza attuale ha riproposto con forza la rilevanza della questione fra i poteri centrali dello Stato e quello devoluti alle Regioni. Una questione, che sembrava chiusa con la bocciatura del referendum istituzionale, ritorna con forza e non può non essere valutata soprattutto in chiave urbanistica che, tradizionalmente, rimane nella sfera delle legislazioni concorrenti.

La salute come tema centrale della trasformazione del territorio
L’emergenza in corso ha messo in evidenza come la salute dei cittadini debba essere garantita non solo attraverso politiche sanitarie, ma anche attraverso un progetto consapevole e attento della città e delle sue infrastrutture, in grado di integrare all’interno dei temi tradizionali dell’ingegneria e della pianificazione urbanistica, oltre ai temi ambientali e sociali che ormai ne costituiscono parte integrante, anche il tema salute che è stato, in passato, il fondamento dell’ingegneria urbana. Ciò richiede la capacità di superare i tradizionali approcci settoriali alle politiche urbane introducendo la salute degli abitanti della città come tema trasversale da affrontare all’interno di tutte le politiche pubbliche.

Snellimento radicale delle procedure burocratiche e urbanistico-edilizie.
In Italia abbiamo un problema di burocrazia che fa vivere 10 Mil di noi che assume una dimensione epocale. Il governo delle città e dei territori necessita di una decisa svolta. Senza risolverla siamo immobili e lo saremo per sempre. Per risolvere questa grave emergenza, sarà fondamentale la capacità dei singoli e delle aziende di adattarsi al meglio ad un quadro destinato a modificare profondamente le abitudini e gli scenari di vita e di lavoro a cui siamo abituati. Potrebbe quindi essere questa l’occasione per ripensare e ridisegnare interamente il quadro normativo urbanistico-edilizio nella sua generalità, individuando nuove strade che conducano ad una vera semplificazione delle procedure previste dalla vigente ed ormai datata catasta Normativa, in modo da consentire la assolutamente necessaria velocizzazione delle scelte del decisore pubblico e delle conseguenti interazioni sociali.Questa è l’occasione.

Il Progetto Paese: un’opportunità che scaturisce dall’emergenza.
In ogni condizione catastrofica possono germogliare semi di rinnovamento radicale. L’occasione deve essere questa. Ulrich Beck lo chiama il “catastrofismo emancipativo”.
Egli scrive: “E’ l’esperienza della catastrofe a violare le norme “sacre” di civiltà e umanità e a produrre con ciò uno choc antropologico a partire dal quale si crea una possibilità di risposte istituzionali, e di una loro istituzionalizzazione globale: non in modo automatico, ma attraverso una serie di sforzi culturali e politici”. Sono proprio questi sforzi culturali e politici che, ciascuno secondo le proprie possibilità e i propri ruoli, dobbiamo perseguire con forza. E’ necessario pensare al domani già da oggi. Altrimenti si avvierà un altro dei soliti drammatici “nostri domani” a cui la storia del nostro Paese ci ha, purtroppo, abituati.
Nella costruzione delle politiche pubbliche, in particolare per quelle orientate alla prevenzione dai rischi, assume particolare rilievo la relazione fra la “conoscenza” sui fenomeni da parte di decisori, indispensabile per muoversi nella giusta direzione, e il consenso, indispensabile per l’azione in una società aperta.
La nostra capacità tecnica si appalesa, quasi sempre, nelle condizioni di emergenza.
L’attuale urgenza sanitaria deve essere affrontata senza sminuire la centralità di altre emergenze, altrettanto indifferibili. Basti pensare, sul piano globale, alla questione dei cambiamiti climatici e, su quello locale, alla sicurezza del nostro patrimonio edilizio e infrastrutturale esposto sia ai rischi sismici sia al deterioramento progressivo delle sue capacità di resistenza strutturale. In più occasioni si è evidenziato come sia necessario un vero “progetto paese” condiviso; un impegno lungimirante, paziente e non evenemenziale ma lungo anni, continuo che ponga al centro la manutenzione come prassi consolidata di azione su immobili e opere infrastrutturali richiamando al senso di responsabilità condiviso.
Superare la logica delle grandi opere e predisporre un piano di finanziamenti statali che attivino centinaia, se non migliaia di opere che possano determinare l’avvio di una fase di ristrutturazione rigenerativa facendo diventare questi progetti i fattori di moltiplicazione di energie positive per la ripresa del Paese.

3 Commenti

  1. E’ proprio questo il momento di rompere la corazza burocratica e agire restaurando sotto tutti i punti di vista la nostra rete insediativa che mi pare più corretta delle megalopoli cinesi o americane

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